Ne siamo assuefatti, come se fosse una droga.
Proviamo piacere quando stiamo con gli altri, amiamo gli altri, ma paradossalmente, allo stesso tempo, preferiamo restare da soli.
Preferiamo la solitudine.
Ma, una volta soli, rimpiangiamo la compagnia.. per quando misere possa essere.
Personalmente, penso che questo problema, quello della solitudine, non risieda nelle caratteristiche universali della nostra razza; penso invece che questo "difetto" sia dovuto sopratutto dalla qualità delle persone che ci fanno compagnia... dalla qualità della socializzazione.
Ormai sembra assopito il fatto che le persone più loquaci debbano ritrovarsi tra di loro, così come quelle più umili... questo per creare una giusta connessione e poter facilmente rispondere alla domanda "facciamo qualcosa che piaccia a tutti" e non rincorrere nella cosidettà "via di mezzo" che non accontenta nessuno e crea solo infelicità.
Ciononostante cosa succede se questa persona di cultura è costretto a socializzare con gente più "ignorante" perchè non trova persone della sua altezza? Perché non trova nessuno che possa capirlo veramente?
Magari, possiamo supporre che viva in una piccola cittadina, lontano dai grandi centri culturali dove gli intellettuali si siedono a bere vino millesimato e a parlare di politica attuale paragonandola a quella di inizio novecento. Oppure potrebbe essere cresciuto con un gruppo di amici di intelligenza inferiore, ed essersi abituato a restare con quello standard,; così come gli antichi facevano quando cambiavano habitat.
Ma, per puro caso portiamo questo saccente intellettuale in una grande città, se per puro caso lo confrontiamo con una realtà dove lui non è più il "solo" ma solo uno dei tanti intellettuali; cosa succederebbe?